OGGIONO

CITTà DI MARCO

introduzione all'artista

La tradizione dice che Marco d’Oggiono è nato a Oggiono in località ad Calcheram (attuale piazza Sironi), in una casa di proprietà dei genitori Cristoforo d’Oggiono, orefice di successo, e Elisabetta da Clivate (Civate).


La data di nascita è incerta, si presume tra il 1465 e il 1470. Tale lasso temporale è deducibile dal fatto che Marco, era già un maestro riconosciuto e quindi almeno quindicenne o più probabilmente ventenne, nel 1487 quando assunse come apprendista Protasio Crivelli per insegnargli l’arte della miniatura, specialità nella quale Marco si era, a quanto pare, precocemente affermato. 


Secondo le cronache Cristoforo d’Oggiono aveva trasferito la residenza della famiglia a Milano almeno dal 1477. Marco abitava nel quartiere di San Galdino, dove il padre possedeva nella contrada dei fabbri un’officina.

 
Marco fu orafo, miniatore, progettò arazzi e soprattutto fu pittore molto stimato nel suo tempo. Per mancanza di documenti espliciti è complicato far luce sugli esordi dell’artista, tuttavia sono comprovate la sua frequentazione dello studio di Leonardo, rilevata il 7 settembre 1490, e la coproduzione, insieme a Giovanni Antonio Boltraffio, della pala d’altare per la cappella di San Leonardo in San Giovanni sul Muro a Milano le cui trattative datano 1491. Per ricevere una commessa tanto importante avendo come socio un collega di grande rilievo, Marco doveva essere già un pittore affermato e dunque anche il magistero di Leonardo non può essere inteso come fase di apprendistato, semmai di perfezionamento.


Certo l’influsso di Leonardo fu per Marco, come per molti dei suoi contemporanei, determinante, al punto da originare tutta una produzione a imitazione dei modi del maestro.


Marco d’Oggiono ha tutte le caratteristiche del pittore professionista, richiesto dalla committenza pubblica e privata, impegnato con continuità nella realizzazione di cicli di affreschi e pale d’altare, preferibilmente legate allo schema tradizionale del polittico.
Le sue opere sono custodite in importanti musei di tutto il mondo e in alcune chiese lombarde e liguri.

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le TAPPE

POLITTICO DELL’ASSUNTA
TRA OTTO SANTI

MADONNA TRA SANT’EUFEMIA E SANTA CATERINA D’ALESSANDRIA​

Madonna col Bambino, San Giovannino e l’angelo

Santa Maria Maddalena portata in cielo dagli angeli


Ragazza con ciliegie


Salvator Mundi


PAESAGGIO LACUSTRE

Madonna lactans
detta Madonna Litta

Pala dei tre Arcangeli

Ritratto di Francesco
di Bartolomeo Archinto

San Sebastiano


Madonna col Bambino

Polittico dell’Assunta tra otto santi

Marco d’Oggiono,
1521 circa, olio su tavola,
Oggiono, Chiesa Prepositurale di Sant’Eufemia.

Si tratta di dieci tavole dipinte raffiguranti: in alto, la cimasa, con il Padre Eterno recante in mano la corona destinata alla Vergine Maria; al centro, la tavola più importante, l’Assunta, simile alla versione della grande pala conservata a Milano nella Pinacoteca di Brera; in alto a sinistra, Sant’Ambrogio, patrono di Milano, con abiti vescovili e armato di staffile per combattere l’eresia ariana e Santa Eufemia, patrona di Oggiono, con la palma simbolo del martirio e la sega, strumento con la quale venne torturata; in basso a sinistra, San Bernardino da Siena, raffigurato magro, sdentato e anziano secondo la tradizione, e San Francesco d’Assisi, con le stimmate; in alto a destra, Santa Apollonia, con la tenaglia con la quale le furono crudelmente estratti i denti, e Santo Stefano, il primo dei martiri cristiani, con i sassi che alludono alla sua lapidazione; in basso a destra, San Sebastiano, legato a un tronco d’albero, e San Rocco che indica la piaga della peste sulla sua coscia, con il bordone da pellegrino.

Secondo il Malvezzi (1882) questa tavola è l’ultima opera di Marco, perché «non ha gli apostoli terminati, così si ha motivo di credere che Marco sia stato colto dalla morte e quindi questa sia l’ultima sua opera».

Al tempo della visita pastorale tenuta nel 1608 dal cardinal Federico Borromeo questa pala doveva essere composta come la vediamo tuttora. In seguito le diverse tavole furono smembrate e disperse per la chiesa. Furono di nuovo riunite nel 1873 come ne testimonia un’iscrizione posta alla base del polittico.

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Museo Urbano Diffuso - Polittico dell’Assunta tra otto santi
Museo Urbano Diffuso - Madonna tra sant eufemia e santa caterina

Madonna tra Sant’Eufemia e Santa Caterina d’Alessandria

Marco d’Oggiono,
XVI secolo, affresco staccato,
Oggiono, Chiesa Prepositurale di Sant’Eufemia.

Ritenuto da Domenico Sedini un “dignitoso lavoro” della bottega di Marco nella monografia sul pittore pubblicata nel 1989, l’affresco è stato successivamente ricondotto alla mano del maestro oggionese dal critico d’arte Franco Moro a seguito del restauro avvenuto nel 1994.

L’affresco, anticamente trasferito in blocco dall’altare di san Bernardino sopra un altare nuovo dedicato a santa Maddalena, mostra la Vergine in trono affiancata da sant’Eufemia e santa Caterina di Alessandria in una composizione completamente priva di sfondo e dunque estranea alle abitudini del maestro Leonardo. È probabile che l’opera sia stata iniziata da Marco e terminata da un suo allievo a seguito della morte prematura del maestro avvenuta durante la pestilenza del 1524.

Le due sante martiri hanno in comune l’avere subito diversi e atroci supplizi prima di venire uccise con la spada, trafitte o decollate, come narra la Leggenda aurea di Jacopo da Varagine. Esse sono raffigurate con uno degli strumenti di tortura che compare nelle loro rispettive agiografie: Sant’Eufemia con la sega e Santa Caterina d’Alessandria con la ruota dentata. È interessante in questo contesto ricordare l’aneddoto leggendario secondo cui Eufemia, patrona di Oggiono, attraversò un giorno il lago di Como con in mano una sega, per dividere le acque, e una campana.
Giunta quasi alla fine del viaggio, la campana le sfuggí di mano, cadendo nel lago e mettendosi a suonare. La santa sconsolata avrebbe detto: “Scendi, scendi, che tanto non toccherai mai il fondo”. La leggenda sostiene che si odono ancora rintocchi della campana che continua a scendere nell’acqua durante le tempeste, quando le onde biancheggiano di spuma e il lago diventa cupo e violento.

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Madonna col Bambino, San Giovannino e l’angelo

Marco d’Oggiono,
1509 circa, olio su tavola, recto 54x48 cm,
Milano, Pinacoteca del Castello Sforzesco.

Il dipinto raffigura Cristo benedicente ancora privo di barba “de anni duodieci” vestito di una sgargiante veste rossa e un manto blu.Il quadro riprende con fedeltà lo schema compositivo piramidale della prima Vergine delle rocce di Leonardo da Vinci (1486 circa, Parigi, Museo del Louvre) che ha come tema l’Immacolata Concezione.

L’opera raffigura la Madonna seduta a terra che poggia la mano destra sulle spalle di San Giovannino, nudo, genuflesso e a mani giunte, che sta ricevendo la benedizione di Gesù Bambino, seduto a terra nel lato opposto e protetto dalla mano della madre sospesa sul suo capo. Alle sue spalle un angelo inginocchiato gli sostiene il busto, mentre con il volto rivolto verso l’osservatore, indica il Santo.

La differenza più profonda con l’originale di Leonardo si rivela nel paesaggio, dai toni più domestici: la vasta veduta lagunare con monti e borghi sembra infatti ritrarre il paesaggio lecchese.
Seguendo una consolidata tradizione umanistica legata all’idea di rebus e giochi linguistici, Marco inserisce nella sua versione della Vergine delle rocce un elemento funzionale a celebrare il committente della piccola tavoletta, fatta realizzare per motivi devozionali. Il roveto ardente posto alle spalle della Madonna, individuato per la prima volta dallo storico dell’arte Alessandro Rossi nel 2020, oltre a simboleggiare la Verginità e l’Immacolata concezione di Maria, alluderebbe infatti, secondo lo studioso, al cognome del possibile committente dell’opera, il cardinale Giuliano Della Rovere, salito al soglio pontificio con il nome di Giulio II nel 1503. Sul verso della tavola si trova inoltre, inquadrata da raffinate grottesche, un’iscrizione in lingua greca in cui si legge tradotto: “Marco dipinse per Giulio”. “Giulio” che si potrebbe indentificare proprio con il pontefice Giulio II, committente documentato, non solo, come è noto, di grandi artisti quali Michelangelo e Raffaello, ma anche dello stesso Marco d’Oggiono, che per il cardinale realizzò una serie di opere, in parte perdute, destinate alla cattedrale di Savona, città d’origine dei Della Rovere. Famiglia strettamente legata al Ducato di Urbino e allo Stato Pontificio.

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GROTTESCA

con firma di Marco d'Oggiono e dedica in greco sul retro (verso) della Madonna col Bambino, San Giovannino e l'angelo.

Marco d'oggiono,
1509 circa, olio su tavola, 54 x 48 cm,
Milano, Pinacoteca del Castello Sforzesco

Il dipinto occupa il retro dell’opera Madonna col Bambino, San Giovannino e l’angelo descritta nel pannello precedente. Le grottesche sono un particolare tipo di decorazione pittorica, in genere parietale, che affonda le sue radici nella pittura romana di epoca augustea (44 a.C. – 14 d.C.) e che fu riscoperto e reso popolare a partire dalla fine del Quattrocento.

La decorazione a grottesca è caratterizzata, come in questo caso, dalla raffigurazione di esseri ibridi e mostruosi, chimere, arpie, satiri, spesso ritratti come figure esili, deformi ed estrose, che si fondono in complesse composizioni, strutturate in maniera simmetrica, su uno sfondo in genere monocromo. 

Al centro della decorazione, all’interno di una targa ansata di gusto squisitamente classicista, l’iscrizione in caratteri greci indica il nome dell’autore del dipinto e quello del committente o destinatario dell’opera: “Marco dipinse per Giulio”.

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Santa Maria Maddalena portata in cielo dagli angeli

Marco d’Oggiono (e aiuti),
1522-1524 circa, olio e tempera su tavola trasportata su tela, 146 x 103 cm,
Milano, Pinacoteca di Brera.

L’opera, in cui a livello stilistico si notano, oltre agli influssi leonardeschi, la serena dolcezza di Raffaello e la sensualità del Correggio, raffigura santa Maria Maddalena elevata in cielo da parte di una schiera di angioletti.

La stesura pittorica si presenta in due modi diversi: quello della parte superiore con la Maddalena, gli angioletti, le nuvole vaporose grigio-azzurro e il Padre Eterno, in cui il colore è dato a campiture piatte con poca materia, e quello della parte bassa, col paesaggio marino-ligure o lecchese-lacustre, che è invece caratterizzata da pennellate più pastose e con effetti di meticolosa resa fedele degli elementi naturali, caratteristici della pittura fiamminga.

La discrepanza di stesura pittorica è tale da dover presumere due artisti diversi: si pensa, infatti, che Marco d’Oggiono abbia eseguito la parte superiore della tavola lasciando a un suo allievo il compito di fare quella inferiore, una volta ammalatosi di peste.
Il dipinto è stato protagonista di avventurose vicende nel corso del XX secolo: fu acquistato da Hermann Göring, per il Museo di Hitler e recuperato nel 1954 da Rodolfo Siviero, agente segreto e storico dell’arte, e rimasto alcuni decenni in Palazzo Vecchio a Firenze.

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Ragazza con ciliegie

Marco d’Oggiono (attribuito),
1491-1495 circa, olio su tavola, 48,9 x 37,5 cm,
New York, Metropolitan Museum of Art.

Quest’affascinante opera attribuita al grande pittore leonardesco combina gli elementi della ritrattistica e dell’allegoria. La giovane donna, che indossa delle ricche vesti, ha un sorriso enigmatico, tipico di tante figure femminili di Leonardo, è coronata di edera e tiene in mano una ciotola di ciliegie. Il quadro potrebbe alludere simbolicamente alle virtù muliebri matrimoniali suggerendo in particolare una connessione con i raffinati circoli letterari dell’ambiente milanese dell’epoca. Ambiente culturale che spesso si compiaceva di commissionare opere che potessero risultare criptiche a coloro che non ne possedevano le chiavi di lettura.

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Salvator Mundi

Marco d’Oggiono,
1505-1510 circa, olio su tavola, 33 x 26 cm,
Roma, Galleria Borghese.

Il dipinto raffigura Cristo benedicente ancora privo di barba “de anni duodieci” vestito di una sgargiante veste rossa e un manto blu.

I due colori delle vesti di Gesù non sono casuali. Come quelli della Madonna, le tinte alludono alla natura sia umana che divina della figura sacra: il blu simboleggia il colore dello spirito e del cielo mentre il rosso rappresenta il sentimento umano e il principio di vita.

Il Cristo sorregge nella mano sinistra un globo terrestre che costituisce una fedele rappresentazione delle conoscenze geografiche dell’epoca. Pare infatti che Marco d’Oggiono possedesse alcune carte geografiche aggiornate.

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paesaggio lacustre

particolare dal polittico Assunzione della Vergine tra i santi Giovanni Battista e Stefano.

Marco d’Oggiono,
1510 circa, olio e tempera su tavola, 350 x 420 cm,
Milano, Museo Diocesano, proveniente dalla chiesa di Santo Stefano di Mezzana di Somma Lombardo (VA).

Il paesaggio lacustre reso con la prospettiva aerea, di evidente derivazione leonardesca, è un chiaro riferimento al lago di Como, forse una veduta di Lecco vista da sud, rovesciata specularmente, dalle alture della Brianza.

Il particolare è situato nella parte inferiore della tavola centrale ai piedi della Madonna Assunta.

Il polittico di Mezzana costituisce l’unico complesso a più pannelli integralmente conservato riferito a Marco d’Oggiono e ancora inserito nell’originale carpenteria lignea dorata.

I riquadri della predella, che raffigurano la Decollazione del Battista, la Visitazione, la Natività e il Martirio di Santo Stefano, sono separati fra loro da formelle con figure di santi. Le scene presentano uno spiccato accento narrativo e un gusto quasi miniaturistico che appare di frequente nella produzione dell’artista.

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Madonna lactans detta Madonna Litta

Marco d’Oggiono,
1490 circa, tempera su tavola, 42 x 33 cm,
San Pietroburgo, Museo Statale Ermitage.

La scena rappresentata è di una serena e poetica dolcezza: la Madonna, che sta allattando il Bambino (Madonna lactans), lo mostra all’osservatore come a volerlo fare partecipare a quel momento di profonda intimità. Il Bambino, che con curiosità fanciullesca se ne accorge, contraccambia lo sguardo dello spettatore mentre quello della Madre, dolcissimo, si abbassa devotamente. Il volto della Vergine, di uno splendore lunare, si staglia su un fondo scuro mentre ai lati si aprono due finestre centinate che lasciano intravedere alcune cime collinari riconducibili al paesaggio brianzolo, caratteristico dei dipinti di Marco d’Oggiono.


L’opera è ancora al centro di un dibattito fra specialisti sulla sua effettiva paternità. Se l’ideazione, confermata da alcuni disegni, può essere ricondotta a Leonardo, è probabile che la sua esecuzione, avvenuta durante il primo soggiorno del maestro toscano alla corte degli Sforza, sia dovuta a Marco d’Oggiono con la collaborazione di Giovanni Antonio Boltraffio.

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Pala dei tre Arcangeli

Marco d’Oggiono,
1516 circa, olio su tavola, 255 x 190 cm,
Milano, Pinacoteca di Brera, proveniente dalla Chiesa di Santa Marta alle Monache.

Capolavoro del pittore brianzolo, si tratta di un dipinto maestoso creato per il Convento agostiniano di Santa Marta a Milano, commissionato come pala d’altare per la cappella di San Michele. L’iconografia è piuttosto rara e pare sia stata ispirata dalle monache agostiniane che abitavano il convento, seguaci del religioso Amedeo Menes de Silva.

Il dipinto, che raffigura l’episodio della cacciata di Lucifero da parte di San Michele Arcangelo a capo delle schiere angeliche, va letto come una metafora del rinnovamento spirituale della Chiesa in atto in quegli anni.

La scena segue una struttura ben precisa: al centro l’Arcangelo Michele, con la spada e le ali spiegate la cui apertura tocca entrambi i lati del dipinto, sta scacciando il diavolo che precipita all’inferno, mentre ai suoi lati gli Arcangeli Gabriele e Raffaele osservano la scena compiendo gesti eloquenti.

Gli elementi tipicamente leonardeschi sono: lo sfumato, la prospettiva aerea, la composizione piramidale, il paesaggio con le vedute dell’Adda, le numerose specie botaniche con valore simbolico come per esempio: il ranuncolo che simboleggia la Morte, il ligustro, il frassino e il non-ti-scordar-di-me che simboleggiano la Redenzione e il narciso che simboleggia il trionfo sulla morte, e la Salvezza.

L’opera è firmata “MARCVS” in primo piano sul sasso davanti alla voragine infernale.

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Ritratto di Francesco di Bartolomeo Archinto

Marco d’Oggiono,
1494 circa, olio su tavola, 54 x 38 cm,
Londra, National Gallery.

Milanese di origine brianzola, nel 1511 l’Archinto divenne governatore di Chiavenna. Morì nel 1551 a settantaquattro anni.

Come si legge nel cartiglio che ha in mano, Marco d’Oggiono lo ritrae all’età di vent’anni mentre indossa un abito estremamente raffinato: una camicia, un farsetto azzurro (giubbetto o zupone) annodato con la gala (una striscia di tessuto o nastro che veniva allacciato in vari modi) con sopra una pellanda (un soprabito foderato di pelliccia, in questo caso caratterizzato da un grande colletto profilato con una costosa pelliccia di leopardo) e sui lunghi e ondulati capelli, di color biondo rossiccio, porta un cappello nero di feltro.

Il fondo scuro, di origine fiamminga, che il maestro Leonardo da Vinci utilizza nella celebre Dama con l’ermellino, databile qualche anno prima, rappresenta un espediente visivo capace di evidenziare la figura rendendola ancor più luminosa.

Particolarmente interessante è anche il parapetto in primo piano su cui poggia la mano destra il protagonista del dipinto, che, simulando un marmo pregiato con le sue libere venature, diventa una sorta di elemento pittorico astratto.

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Museo Urbano Diffuso Ritratto di Francesco di Bartolomeo Archinto

San Sebastiano

Marco d’Oggiono (attribuito),
1499 circa, olio su tavola di legno di pioppo,
Berlino, Gemäldegalerie.

San Sebastiano, insieme con San Rocco, è un santo taumaturgo, protettore della peste, la stessa terribile pandemia che si pensa uccise nel 1524 circa lo stesso Marco. 

La raffigurazione del santo è presente, due volte all’interno del battistero di Oggiono negli affreschi, ancora dai modi ancora tardogotici, di Tommaso Malacrida.

Lo sguardo del santo è volto verso una nuvola epifanica dalla quale appare un piccolo angelo che sembra indicare il cielo con il tipico gesto leonardesco dell’indice rivolto verso l’alto. 

Il santo si rivolge a lui creando un elegante contrapposto mentre lo sfondo si apre con un bellissimo paesaggio lariano che si perde in una scenografica prospettiva aerea, visto da un’altura della Brianza.  

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Madonna col Bambino

Marco d’Oggiono,
1490 circa, tempera su tavola, 65,5 x 53 cm,
Auckland, Auckland Art Gallery.

Come la Madonna Litta anche questa è una Madonna del latte.

Il caratteristico tendaggio dietro le due figure, consolidato espediente dei pittori veneziani e del Nord Europa, permette di dare rilievo ai due protagonisti della scena lasciando intravedere ai lati un tipico paesaggio caro a Marco.

Contrappunto al tendaggio è il panneggio che si dispiega sul parapetto su cui è seduto il Bambino. Il colore giallo-oro di tale panneggio dialoga simbolicamente con il colore rosso acceso della tenda alludendo alla doppia natura del Cristo, quella luminosa e divina e quella carnale e umana.

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