ELLO

CITTà DI ARMAIOLI

introduzione al percorso

I Negroni, originari di Ello, forse più noti come “Missaglia”, furono tra i più rinomati armaioli attivi tra il XV e il XVI secolo a Milano. Le loro opere erano richieste in tutta Europa, dalla corte milanese degli Sforza a quella reale francese.

Di Pietro Negroni, capostipite della famiglia e morto nel 1428, si hanno poche notizie certe. Il figlio Tommaso è il primo a essere soprannominato “Missaglia”, cognome che probabilmente deriva dalla plebe cui apparteneva originariamente il paese di Ello.

Tommaso ingrandisce molto l’attività famigliare tanto che nel 1450 il duca di Milano Francesco Sforza lo nomina, insieme al figlio Antonio, armaiolo ducale, esentandolo dal pagamento delle imposte. Tommaso muore nel 1452 e Antonio, nato intorno al 1415, assume la guida dell’impresa di famiglia. Con Antonio la bottega raggiunge i massimi livelli di fama e prestigio. Il favore ducale contribuisce all’espandersi della clientela, che nella seconda metà del XV secolo giunge a comprendere alcune delle più importanti corti italiane, come ad esempio Mantova e Ferrara.

Anche solo da queste poche righe è possibile intuire quanto le opere della famiglia ellese dei Negroni fossero particolarmente richieste. Tra i principali committenti si ricordano Francesco I Sforza, Galeazzo Maria Sforza, Ludovico Sforza detto il Moro, Ascanio Maria Sforza Visconti, Luigi XI re di Francia, il condottiero Roberto Sanseverino e molti altri.

Nel Rinascimento la Brianza è stata terra ricchissima di armaioli. Oltre ai Negroni, altre famiglie attive in questo ambito furono i fratelli da Merate, Francesco da Vedano, Francesco Besana, Giovan Giacomo da Vimercate, Galeazzo da Verderio, Giovan Pietro Bernareggio, Ambrogio da Binago, Anselmino da Seregno, Bonaventura da Lissone, Giovan Ambrogio Varedo, Pietro da Desio e Dionigi da Viganò.

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le TAPPE


Ello, paese dei Missaglia


Il San Giorgio di Mantegna


Le case dei Missaglia

I Missaglia e
Galeazzo Maria Sforza

Gli Uomini d’arme
di Bramante

I Missaglia e
Ludovico il Moro

La Pala Brera di
Piero della Francesca

Le diverse armature rinascimentali

Le armature dei Missaglia a Mantova

Ello, paese dei Missaglia

BOTTEGA DEI MISSAGLIA, ELMO, 1475 CA., NEW YORK, METROPOLITAN MUSEUM OF ART​

Il paese di Ello è abitato fin dall’età del bronzo e il suo rapporto con i metalli è sempre stato importante. Secondo alcune fonti, nelle vicinanze di una cava di pietrame presso il paese sarebbero stati trovati diversi oggetti in ferro risalenti al II millennio a.C.

Nella zona era presente anche una miniera che, secondo gli esperti, veniva sfruttata anticamente come deposito di armi da parte di fabbri ambulanti.

Oltre alla presenza di metalli nella zona, importante per lo sviluppo del paese di Ello è l’acqua. In particolar modo, questa, oltre a essere stata fondamentale in età moderna per lo sviluppo della filanda del paese, risulta uno strumento basilare anche nell’ambito metallurgico. È indispensabile, infatti, per il funzionamento del maglio, un grande martello che viene mosso per via idraulica e necessario nelle operazioni di forgiatura e di stampaggio del metallo.

Proprio in riferimento all’importanza dell’acqua è rilevante ricordare l’episodio che vede il duca di Milano Galeazzo Maria Sforza donare ad Antonio Missaglia diversi magli, situati nella zona della Martesana e dei Navigli, affinché potesse lavorare il ferro e realizzare di conseguenza le proprie armature senza alcuna difficoltà nel reperimento dell’acqua.

Oltre a Ello, anche l’attività siderurgica della Corte di Casale (Canzo) è legata alla famiglia Missaglia. La più antica notizia riguardante le attività minerarie dei Negroni presso Canzo risale al 1462, quando Francesco Sforza duca di Milano conferisce l’autorizzazione alla famiglia ellese di estrarre e lavorare qualunque genere di metallo si trovasse nel territorio della comunità di Canzo.

Esattamente dieci anni dopo il duca Galeazzo Maria Sforza vende ad Antonio Missaglia l’intero feudo di Casale, anche con lo scopo di favorire le attività siderurgiche della famiglia di armaioli ducali.

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Il San Giorgio di Mantegna

Andrea Mantegna, San Giorgio, 1457 ca., tempera su tavola, Venezia, Gallerie dell’Accademia

Nella storia dell’arte, la figura di San Giorgio è quella che viene legata con maggiore naturalezza al contesto cortese-cavalleresco. Il Santo cavaliere, che uccide il drago per salvare la principessa, è sempre raffigurato con indosso una ricca e lucente armatura e, anche per questo motivo, è diventato patrono degli armaioli, degli schermitori e degli arcieri.

Nell’opera di Andrea Mantegna, conservata presso le Gallerie dell’Accademia di Venezia, San Giorgio viene rappresentato stante, vestito con una bellissima armatura e con in mano una lancia spezzata. Ai suoi piedi giace il drago, morto e con la punta dell’arma conficcata nella mascella.

Il santo, leggermente girato verso destra, e il drago sporgono dalla finta cornice marmorea creando un effetto illusorio di invasione dello spazio reale. Tale espediente spaziale permette di legare l’opera al soggiorno padovano dell’artista, conclusosi entro il 1459. Mantegna si forma a Padova presso la bottega dello Squarcione, dove apprende l’applicazione illusoria dello spazio e l’uso di un ricco decorativismo antiquario, qui riscontrabile nella ghirlanda posta nella parte alta del dipinto.

L’impassibile giovane uomo, più eroe che santo cristiano, veste un’elegante armatura italiana della metà del Quattrocento. I toni e i colori utilizzati nel dipinto enfatizzano la lucentezza della corazza, a sua volta accesa dai rossi brillanti della mantellina militare, delle cinghie e della cintura.

La città fortificata sullo sfondo, rappresentata in cima a un’altura percorsa da un viottolo sinuoso, raffigura Selene, sotto le cui mura, secondo la leggenda, san Giorgio avrebbe ucciso il drago.

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Le case dei Missaglia

Disegno di Casa Missaglia in via Spadari a Milano in un disegno pubblicato ne “Il Secolo Illustrato” nel 1902

Grazie alla fama e alla ricchezza ottenute nel corso del XV secolo, la famiglia dei Negroni acquista diverse case e officine in Brianza e a Milano.

L’abitazione principale e più famosa dei Missaglia è l’ormai distrutta casa milanese di via Spadari, soprannominata “Casa dell’Inferno”, forse per lo spettacolo impressionante che i fuochi delle fucine dovevano produrre e per i suoni assordanti dei martelli che battevano sulle incudini.

Questo palazzo, situato a pochi passi da piazza Duomo, è stato demolito tra il 1901 e il 1902 per rispondere alle esigenze del piano regolatore della città. Quanto resta della casa e della bellissima decorazione quattrocentesca della facciata è oggi conservato presso il Museo d’Arte Antica del Castello Sforzesco. La casa doveva essere una delle abitazioni più eleganti e decorate della città di Milano. Nel cortile era presente un portico scandito da arcate sostenute da pilastrini con capitelli decorati e bassorilievi recanti le insegne della famiglia Missaglia. Le finestre interne ed esterne al cortile erano a sesto acuto, ornate di cornici con decorazioni in cotto, e negli intervalli tra una finestra e l’altra erano dipinti vasi con rami d’alloro e fiori, emblemi sforzeschi, stelle e sigle dei Missaglia, scudi, motti, rappresentazioni astrologiche, paesaggi, e infine, a guisa di demarcazione con gli edifici confinanti, delle decorazioni geometriche.

Oltre a questa abitazione, a Milano possedevano una casa-deposito affacciata sulla piazza del castello di porta Giovia e un’officina nella zona di Sant’Angelo della Martesana (zona Navigli).

Intorno agli anni ’70 del Quattrocento, per avere una regolare fornitura di materie prime, i Negroni presero in gestione alcuni terreni nella Corte di Casale, una zona ricca di ferro nei pressi di Canzo (CO).

Nel paese di Ello, i Missaglia possedevano una grande casa ancora oggi esistente. Antonio Negroni decide, nell’ultimo trentennio del XV secolo, di ingrandire e abbellire l’abitazione di famiglia acquisendo edifici tra via Orientale ai Monti, via della Torre e via Massimo de Vecchi. Ancora negli anni ’30 del Novecento era possibile vedere per il paese, scolpito su alcune pietre, il monogramma dei Missaglia e osservare alcuni resti di decorazione ad affresco, come ad esempio un doppio ritratto in tondi di Antonio Negroni e della moglie, raffigurati ai lati di un Christus patiens (Cristo dolente), anch’esso affrescato.

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I Missaglia e Galeazzo Maria Sforza

Antonio Missaglia, Armatura in acciaio, 1450 ca., Baltimora, The Walters Art Museum

Nel 1450 Francesco Sforza diventa duca di Milano. Sarà questa la carta vincente per il definitivo rilancio dell’economia delle armature. Il loro ampio commercio è favorito dalla politica espansionistica e di affermazione militare che il nuovo duca intraprende.

Francesco Sforza, fin dall’inizio del suo ducato, si rivolge alla famiglia dei Missaglia come principali fornitori di armature, iniziando così una serie di importanti collaborazioni. La corte ducale giunge addirittura ad esentare dal pagamento delle imposte Tommaso Missaglia.

Tale privilegio risulta essere molto elitario, soprattutto se si considera che sarà rinnovato anche dal duca Galeazzo Maria Sforza nei confronti di Antonio, figlio di Tommaso.

I duchi sforzeschi si mostrano sempre attenti ai problemi della famiglia ellese, tanto da concedergli magli in zone privilegiate della città di Milano o terreni in Brianza ricchi di minerali.

La morte di Francesco Sforza, avvenuta nel 1466, non intacca l’ormai ben avviata produzione dei Missaglia. Il nuovo duca Galeazzo Maria Sforza, infatti, lascia inalterati i privilegi precedentemente conquistati dalla famiglia ellese.

Sotto Antonio Missaglia aumentano notevolmente la fama e il benessere socioeconomico della famiglia. Il duca di Milano, che aveva in arretrato alcuni pagamenti di armature, cerca di risolvere il problema concedendo ad Antonio e ai suoi eredi il feudo di Casale (che comprendeva Canzo, Caslino d’Erba, Castelmarte, Longone al Segrino, Proserpio e altri territori) e le sue relative entrate. Antonio diventa, quindi, nel 1472 feudatario di questa zona dell’Erbese.

Nel 1476, il duca Galeazzo Maria Sforza viene assassinato e, di conseguenza, inizia il periodo di reggenza della moglie Bona di Savoia, in quanto il figlio Gian Galeazzo Sforza era troppo piccolo per poter governare.

Anche in questo caso il cambio di vertice non influenza negativamente l’attività dei Missaglia, ma, al contrario, porta a nuove commissioni e, nel 1480, al consolidamento dei rapporti tra la camera ducale e l’officina di Antonio, il quale diventa ufficialmente armaiolo ducale.

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Gli Uomini d’arme di Bramante

Donato Bramante, Uomo dallo spadone, 1486 circa, affresco staccato trasportato su tela, Milano, Pinacoteca di Brera

Nel Rinascimento i signori delle corti italiane e i più potenti condottieri non facevano sfoggio delle loro armature solo sui campi di battaglia o durante gli scontri con i nemici, ma amavano essere ritratti con tali vesti anche in contesti cortesi e privati.

Le armature non avevano solo una funzione pratica, ossia quella principale di attaccare o di difendere durante un combattimento, ma racchiudevano in sé un valore simbolico di grande importanza.

Tra Quattro e Cinquecento molte sono le raffigurazioni di Uomini d’arme e Uomini di lettere all’interno di case private, corti e palazzi pubblici. Era diffusa la consapevolezza per cui non si poteva essere dei buoni condottieri senza prima conoscere la letteratura o senza apprezzare l’arte. Era necessario che, oltre ad avere una formazione bellica, gli uomini di potere conoscessero la letteratura latina, la retorica classica e le altre discipline umanistiche.

Un esempio significativo a riguardo è l’opera di Donato Bramante, realizzata verso la fine degli anni ’80 del XV secolo e oggi conservata presso la Pinacoteca di Brera.

L’opera fa parte del celebre ciclo bramantesco degli Uomini d’arme, composto da sette figure di dimensioni maggiori del vero. Queste figure dovevano trovarsi all’interno del palazzo di Gaspare Ambrogio Visconti, poeta e letterato molto vicino alla corte di Ludovico il Moro, per il quale lavoravano i Negroni. In questa casa privata, famosa per le conversazioni erudite e i banchetti che si svolgevano al suo interno, oltre a esserci una camera decorata con alberi e altre con animali, vi era una stanza detta “dei baroni”, in quanto raffigurava tali uomini d’arme.

Bramante, nella realizzazione del ciclo, si sarebbe ispirato alla concezione neoplatonica ficiniana del culto dell’eroe, per cui era necessario unire la forza fisica e l’elevazione spirituale, fatta di musica e di poesia.

Non si tratta, però, di eroi mitologici, ma spadaccini contemporanei, i cui nomi dovevano essere iscritti nella decorazione, oggi non più leggibile.

Il ciclo, per le sue moderne qualità di impaginazione prospettica e di resa psicologica dei personaggi, è diventato, già tra XV e XVI secolo, un modello autorevole, cui guardano altri grandi artisti lombardi come Vincenzo Foppa, Bramantino e il giovane Zenale.

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I Missaglia e Ludovico il Moro

Giovanni Ambrogio de Predis, Ludovico il Moro in armatura, miniatura della Grammatica Latina di Elio Donato, fine XV sec., tempera su pergamena, Milano, Biblioteca Trivulziana.

Nel 1480 Bona di Savoia perde il controllo della città di Milano a causa delle ambizioni del fratello del defunto Galeazzo Maria Sforza, Ludovico il Moro, il quale riesce ad allontanare la cognata e ad assumere la guida del ducato con il pretesto di proteggere la vita del nipote Gian Galeazzo.

La fama dei Missaglia, nel frattempo, cresce sempre di più, tanto da rendere Antonio non solo un armaiolo, ma anche un ricco imprenditore.

Nel 1496, però, Antonio Missaglia risulta deceduto. Egli è stato l’elemento portante dell’economia famigliare per più di trent’anni e ha dignitosamente fatto fruttare l’eredità di beni e conoscenze ricevute dal padre Tommaso. Gli eredi non riescono, purtroppo, a eguagliare le abilità e l’intraprendenza economica di Antonio. Essi, da produttori e investitori, tornano a essere semplici commercianti, fino poi a lasciare tracce storiche sempre più sfumate.

Un documento del 1504 sancisce una netta cessione del testimone, che passa dai Missaglia a una nuova famiglia di armaioli: i Barini, più famosi come Negroli. Riguardo a questa famiglia non è chiaro se anch’essi fossero originari di Ello oppure nativi di Milano. Ma, oltre a questi problemi storici, l’aspetto significativo è evidenziare il movimento di implosione della famiglia Missaglia.

All’inizio del Cinquecento, i Missaglia non riescono più a portare a termine i lavori, si indebitano e alcuni esponenti finiscono in carcere proprio per non aver concluso nei tempi prestabiliti diverse commissioni.

Partiti dal nulla, i Missaglia giungono al culmine della loro parabola evolutiva grazie alla costanza di Tommaso e alla capacità tecnica e commerciale di Antonio. Dopo la morte di questi vengono meno lo spirito di iniziativa economica e la dedizione all’innovazione tecnologica e artigianale, a cui i Missaglia dovevano la loro ricchezza e le loro importanti committenze europee.

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La Pala Brera di Piero della Francesca

Piero della Francesca, particolare della Madonna col Bambino e santi, angeli e Federico da Montefeltro (Pala Brera o Pala di San Bernardino), 1472-74 circa, tempera su tavola, Milano, Pinacoteca di Brera

La città di Urbino e la figura del duca Federico da Montefeltro hanno giocato un ruolo fondamentale per la storia e l’arte italiana del Quattrocento.

Il palazzo ducale della città è uno dei capolavori dell’architettura rinascimentale. Al suo interno si trova il piccolo e parzialmente conservato studiolo del duca (1473-77). Si tratta di una stanza in cui trovano spazio ritratti di personaggi famosi e una decorazione a intarsio ligneo. L’idea alla base delle raffigurazioni è quella di riprodurre le arti del trivio (grammatica, retorica e dialettica) e del quadrivio (aritmetica, geometria, musica e astronomia), discipline considerate fondamentali per l’istruzione del signore e dell’intera corte.

Il Montefeltro si è distinto durante la sua vita per essere stato un importante capitano militare e un grande appassionato di letteratura e arte. Il signore di Urbino amava farsi ritrarre come il “principe saggio” capace di dedicarsi sia al mestiere della guerra sia allo studio.

L’atteggiamento di unire otium e negotium assunto da Federico è riscontrabile anche in altre corti italiane, come ad esempio a Milano. La vicinanza culturale tra Urbino e il capoluogo lombardo ha portato i critici ad accostare spesso il contesto urbinate a quello milanese e in particolar modo a vedere nelle figure realizzate da Bramante presso casa Visconti un legame diretto con lo studiolo ducale.

Un ritratto particolarmente famoso, che incarna bene l’indole del duca, è visibile all’interno della Pala Montefeltro realizzata da Piero della Francesca (1472-74). La pala, probabilmente eseguita per la chiesa di S. Bernardino a Urbino, è conservata dal 1811 nella Pinacoteca di Brera.

L’iconografia è quella della Sacra Conversazione: al centro si trova la Vergine in trono con in braccio il Bambino dormiente; attorno sono disposti, da sinistra, San Giovanni Battista, San Bernardino, San Girolamo, San Francesco, San Pietro Martire e San Giovanni Evangelista. Alle spalle della Madonna si trovano gli arcangeli e, in ginocchio davanti al gruppo, Federico da Montefeltro nelle vesti di condottiero.

Il duca indossa un’armatura completa di spada e mantello, a terra si trovano l’elmo, il bastone del comando e i pezzi dell’armatura, tolti affinché il duca potesse giungere le mani in preghiera. L’armatura è vicina, per alcuni aspetti, allo stile milanese, ma è difficile individuare una possibile bottega di fabbricazione.

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Le diverse armature rinascimentali

Giovanni Marco Meraviglia e Damiano Missaglia, Armatura di Claude de Vaudrey, 1495 ca., Vienna, Kunsthistorisches Museum

L’armatura d’acciaio è stata creata attorno alla metà del Trecento. Nonostante si tratti di uno strumento difensivo diffuso in tutto il mondo, le prime armature pervenute sono italiane.

Tra il 1420 e il 1480 circa le corazze della Penisola sono particolarmente apprezzate, in quanto gli armaioli italiani tendono a rendere le forme più arrotondate e prive di esagerazioni. È possibile, infatti, notare una tendenza ad ammorbidire e ad ingentilire le forme del corpo, che è celato al di sotto di pesanti strati di metallo.

La fabbricazione delle armature va di pari passo con lo sviluppo della metallurgia, che raggiunge livelli notevoli verso la fine del Trecento. Questo avanzamento tecnico permette di sopperire alle richieste sempre maggiori degli armamenti e dei condottieri.

La fabbricazione di un’armatura è un’opera che coinvolge molti armaioli, maestri e artigiani, ciascuno con la propria specializzazione. La maggior parte dei fabbricanti di armature, però, non si spinge oltre un limitato commercio locale. Una delle eccezioni sono la famiglia dei Negroni, i quali, con la loro “dinastia”, raggiungono livelli di ricchezza e fama elevatissimi.

Tra il 1480 e il 1530, periodo di grandi guerre e mutamenti geopolitici, il concetto dell’arma difensiva cambia notevolmente. La guerra stessa muta. Da una lotta nella quale la cavalleria era l’elemento principale, si passa a battaglie in cui la fanteria predomina.

Un esempio di armatura per un combattimento a piedi è quella realizzata per Claude de Vaudrey, signore di L’Aigle e Chilly e ciambellano del duca Carlo di Borgogna.

Secondo le fonti, l’armatura è stata vinta dall’imperatore Massimiliano I d’Asburgo in seguito a un duello con il ciambellano borgognone tenutosi in occasione della dieta imperiale a Worms (1495).

Si tratta di un’opera realizzata da due botteghe milanesi molto importanti: quella dei Meraviglia e quella dei Missaglia. Damiano Missaglia, nipote del più famoso Antonio, ha probabilmente stretto un accordo produttivo con i Meraviglia per l’esecuzione di questa armatura. 

Questa corazza si distingue per la sua falda a girello, che offre la massima protezione possibile per le gambe, allo stesso tempo permettendo però una mobilità notevole. Nelle forme e nella fabbricazione traspare uno stile che cerca di unire il gusto francese del committente e quello milanese degli armaioli.

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Le armature dei Missaglia a Mantova

Antonio Missaglia, Giovanni Antonio delle Fibbie, Antonio de Osma? e altri maestri, Armatura composita da uomo d'arme, 1470-90 ca., Mantova, Museo Diocesano.

Le opere dei Negroni sono conservate in collezioni, armerie e musei di tutto il mondo, ma una delle più importanti raccolte delle loro armature si trova in Italia, in particolar modo a Mantova.

Nella seconda metà del Quattrocento a Mantova sono documentati diversi armaioli: Zoan Pietro da Milano, Michieletto delle Corazzine, Jacopo da Capua e altri. I Gonzaga, signori di Mantova, oltre alla produzione locale, avevano al proprio servizio i massimi produttori di armi e armature a livello europeo: dai fratelli da Merate, agli Helmschmied, ai Negroni, detti Missaglia.

Questi ultimi furono gli artefici di sei delle dodici armature composite in stile gotico italiano provenienti dal Santuario della Madonna delle Grazie di Curtatone, situato a circa nove chilometri da Mantova. Si tratta, ad oggi, del più importante corpus di armamenti difensivi al mondo.

La storia di queste armature è particolare e complicata: uscirono dall’armeria ducale insieme ad altre per essere consegnate al Santuario in un’operazione particolare di decorazione della navata. Tra Cinque e Settecento le armature vennero unite a parti di cartapesta e altri materiali per formare una lunga serie di manichini a grandezza naturale posti all’interno di una struttura lignea collocata a livello del cleristorio della chiesa.

Ad oggi, grazie allo studio capillare di Sir James Gow Mann, direttore della Wallace Collection di Londra negli anni Trenta del Novecento, le armature sono state depurate dalle aggiunte e trovano spazio presso il Museo Diocesano Francesco Gonzaga di Mantova.

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